Caprilli e il Sistema Naturale di Equitazione

Il capitano Federico Caprilli e il Sistema Naturale di Equitazione

Racconto la vicenda di un cavaliere militare italiano, Federico Caprilli, che, trentenne, alla fine dell’Ottocento, ideò e mise a punto un sistema di equitazione che rapidamente si diffuse in tutto il mondo. Dopo di lui nessuno pensò, scrisse e disse che il cavallo non potesse saltare da sé, d’iniziativa, come ancora si pensava e si scriveva nell’Ottocento. Nessuno andò a saltare pensando di elevare l’anteriore del cavallo, con il busto rovesciato indietro o verticale, immaginando di mantenere in equilibrio con le redini il cavallo, affinché non cadesse. Dopo di lui il cavallo, per essere addestrato, non fu obbligato ai difficili e spesso dolorosi esercizi dell’equitazione di scuola di allora, spesso male interpretata e messa in pratica, non venne sottoposto a un addestramento molto spinto in maneggio per essere reso capace di andare in campagna, ma venne lasciato libero nel suo equilibrio naturale, nel suo atteggiamento naturale, con il bilanciere (testa – collo) libero di muoversi secondo le leggi della natura, un cavallo finalmente affidato al suo istinto di conservazione, obbediente alle semplici indicazioni degli aiuti del cavaliere: gambe per avanzare e accelerare, mani per dirigere, rallentare e fermare. E il cavaliere si adatta al cavallo, anziché pretendere la sua completa sottomissione, come esigeva l’equitazione di scuola del tempo. Questa, in sintesi, quella che è stata definita una rivoluzione.
Una breve storia lunga circa quattromila cinquecento anni.L’equitazione in Italia, come in Europa e in Asia, è sempre esistita dacché l’uomo ha addomesticato il cavallo. L’addomesticamento del cavallo dovrebbe essere avvenuto circa 4500 anni fa ad opera di pastori che abitavano l’attuale Ucraina (Europa orientale). Sono i giacimenti in cui sono stati rinvenuti resti ossei di cavalli datati con il carbonio (radioattività residua) sepolti insieme a manufatti, come per esempio un morso in corno di cervo, a rivelare la data (approssimativa, ovviamente). La lenta trasmigrazioni di tribù e di popolazioni, poiché non esisteva altro mezzo di comunicazione se non l’esempio diretto o la parola, ha diffuso l’uso in tutta l’Europa e anche in Italia.
Ma un conto è montare sul dorso di un cavallo e farsi trasportare più o meno velocemente, obbedendo al solo istinto e imitando la pratica già acquisita da altri, un conto è elaborare mentalmente un modo di montare e di addestrare il cavallo.
Lasciando da parte gli unici trattati equestri giunti completi sino a noi dall’antichità, l’Hippàrchikos e il Perì Hippichés di Senofonte (scritti circa 400 anni prima di Cristo), il fatto sopra citato, in Italia, è avvenuto nel Cinquecento, XVI secolo, in quel periodo che ha preso il nome di Rinascimento. Nella seconda metà del Cinquecento sono stati infatti pubblicati i
trattati che hanno influenzato la pratica dell’equitazione in tutta l’Europa.
In Italia, per la precisione a Napoli, venne aperta la prima accademia di equitazione al mondo a opera di un cavaliere, definito dai suoi allievi, e in particolare da uno dei più celebri, il francese Antoine de Pluvinel, che aveva lavorato con lui a Napoli per sette anni, “il più eccellente uomo di cavalli che sia mai esistito nel nostro secolo e prima”: Giovan Battista Pignatelli, di una illustre famiglia napoletana. Tutti i famosi cavalieri di quel tempo appartenevano a grandi famiglie aristocratiche, perché soltanto persone appartenenti a grandi famiglie potevano permettersi il lusso di dedicarsi professionalmente al mestiere di cavaliere, mantenere cavalli, scuderie, servitù e allievi. Bisogna tenere conto che in quel tempo l’equitazione non era uno sport, ma un’attività molto più seria, il cui primo scopo era la difesa del territorio, della città, del signore, del principe, del re, del vescovo, anche del papa. Quindi lo scopo era l’impiego del cavallo in combattimento e negli esercizi che, in tempo di pace, simulavano il combattimento e tenevano in allenamento il cavaliere: le giostre, i tornei, i caroselli, e poi i duelli. Un’attività in cui l’errore equivaleva alla morte. Perdere voleva dire morire.
Per questo motivo i cavalli dovevano essere rispondenti e perfettamente obbedienti. Erano cavalli più pesanti di quelli attuali, più lenti, più freddi. Da cui imboccature e speroni che ci fanno inorridire. Ma erano mezzi necessari al tipo di cavallo e non strumenti di volontaria tortura. Il cavallo arabo non aveva ancora insanguato il cavallo europeo, non gli aveva ancora dato nevrilità, prontezza e agilità.
Nella seconda metà del Cinquecento vengono dati alle stampe i primi e i più famosi trattati di equitazione ai quali si fa risalire la nascita dell’equitazione accademica, trattati che fanno il vanto dell’Italia nel mondo equestre.
Federico Grisone, gentiluomo napoletano, è scritto così sul frontespizio del libro, pubblica nel 1550 a Napoli Gli ordini di cavalcare. E’ il primo libro al mondo che tratti solo di equitazione. Cesare Fiaschi, gentiluomo ferrarese, pubblica nel 1556 a Bologna un Trattato dell’imbrigliare, maneggiare, et ferrare cavalli. Questi due primi libri avranno decine di ristampe e saranno tradotti quasi subito in francese, in tedesco, in spagnolo e in inglese. Messer Claudio Corte di Pavia pubblica nel 1562 a Venezia Il cavallarizzo. L’illustrissimo signor Pasqual Caracciolo pubblica a Venezia nel 1566 La gloria del cavallo. Ottaviano Siliceo, gentiluomo troiano (Troia, cittadina a 22 km da Foggia), pubblica a Orvieto nel 1598 Scuola de’ cavalieri. E mi fermo al Cinquecento. Questi cavalieri – autori sono letterati, conoscono il greco, il latino, la letteratura precedente, la storia, la filosofia, la mitologia, la matematica, le scienze allora conosciute. Sono il tipico esempio del cortigiano, l’uomo che serve il suo signore e che ha educato il suo corpo e il suo spirito per servire meglio.
Claudio Corte dichiara nel suo libro di aver perso la salute a causa degli studi compiuti e al fatto di aver dovuto trascurare il montare a cavallo e di aver riacquistato la salute proprio rimettendosi a lavorare in sella. Molta acqua passerà sotto i ponti dell’equitazione. In circa trecento anni si perfezionerà un genere di equitazione, che oggi si chiama accademica, che servirà per addestrare cavalieri e cavalli alla guerra.
Ma con le mutate condizioni del combattimento e della battaglia a seguito dell’invenzione della polvere da sparo e delle armi a ripetizione e a tiro rapido, scomparsi le armature, l’ordine chiuso, il reparto di cavalleria che fa massa e serve per sfondare e travolgere, sono la velocità e la maneggevolezza che prendono il sopravvento.
I cavalieri con i loro cavalli devono percorrere la campagna velocemente, superare agevolmente le asperità del terreno, riunirsi in frotta e separarsi rapidamente per sfuggire all’osservazione nemica e per sottrarsi al fuoco nemico.
Le regole dell’equitazione di scuola, che vogliono soprattutto il cavallo riunito e in un equilibrio sulle anche, non servono più.
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L’equitazione istintiva, prerogativa un tempo dei popoli nomadi, definiti barbari, dimostra tutta la sua efficacia nei confronti di una equitazione fatta di rigide regole e di formalismi.
Un giovane ufficiale di cavalleria, il primo al mondo, riesce, in circa vent’anni di attività, a notare con un acuto spirito di osservazione il grande contrasto esistente tra la teoria dei maestri e la pratica dell’equitazione in campagna, all’aperto, in grandi spazi, dove il cavallo è tenuto a produrre il massimo sforzo. Riesce ad adeguare l’insegnamento alla pratica
quotidiana sul terreno. Inizia una battaglia, nel rispetto della disciplina militare e della gerarchia, con l’autorità che vede di malocchio ogni innovazione che arrivi dal basso. Riesce a dimostrare l’efficacia delle sue idee e realizza il miracolo, questo il segreto del suo successo, di far accettare e regolamentare per tutto un esercito la sua innovazione.
Quando Caprilli nasce, l’Italia è unificata nel Regno d’Italia da sette anni soltanto (1861). Torino è la capitale del Regno.
La capitale verrà spostata prima a Firenze, poi definitivamente a Roma nel 1870, quando finirà il potere temporale della Chiesa.
La vita di Federico CaprilliTutte le notizie sono tratte dal libro dell’unico biografo di Caprilli, il capitano Carlo Giubbilei, ufficiale di cavalleria compagno di Caprilli, di quattro anni più giovane, che dopo la prematura morte di Caprilli scrisse un libro intitolato Caprilli: vita e scritti, pubblicato nel 1909 a Roma. Tutte le citazioni virgolettate sono tratte dal libro di
Giubbilei.
Federico Caprilli nasce a Livorno alle cinque del mattino dell’8 aprile 1868 nel popolo di Santi Jacopo in Acquaviva, nella via del Passeggio, nella casa paterna.
Non intendo ripercorrere i trentanove anni di vita di Caprilli. Desidero elencare le date più importanti della sua vita di cavaliere al fine di mettere in risalto il processo che lo ha portato a intuire con straordinaria lucidità fatti prima di lui mai pensati e poi a elaborare e a definire il “Sistema Naturale di Equitazione”.
1881 ottobre A 13 anni entra nel Collegio Militare di Firenze. Inizia così la sua formazione militare. 1884 a Roma, a 16 anni, monta per la prima volta sul dorso di un cavallo, Bertone, il cavallo da carrozza del padre, e cade per la prima volta.
1886 a 18 anni entra nell’Accademia militare di Modena. Inizia la vita militare. Con difficoltà viene assegnato in cavalleria, sebbene sia stato giudicato di fisico non felicemente tagliato per l’equitazione. E’ infatti “un po’ lungo di vita, con le gambe in conseguenza piuttosto corte rispetto al busto”. E’ alto m 1.83. 1888 a 20 anni termina l’Accademia. Riporta il
giudizio: “Mediocre in equitazione”.
agosto Viene assegnato, sottotenente, al reggimento di cavalleria Piemonte Reale a Saluzzo (Torino).
autunno Ha 20 anni. Monta a cavallo da poco più di due anni. Inizia il corso di sottotenente allievo alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo “con due bei cavalli sauri”. Per inciso, faccio presente che montare a cavallo per un ufficiale di cavalleria era come per un militare che oggi venga inviato nella motorizzazione guidare l’automobile. Tutti gli ufficiali, i sottufficiali, i graduati, i militari di truppa montavano a cavallo, compreso il cappellano, il medico, il veterinario, l’infermiere, il cuoco. Tutti. Quando Caprilli arriva a Pinerolo, Cesare Paderni è da undici anni direttore di equitazione. Ha cinquantacinque anni. Rimarrà ancora a Pinerolo per altri cinque anni. Poi gli verrà dato il benservito e lascerà la Scuola.
Cesare Paderni merita un breve inciso, perché è una figura importante nella formazione equestre di Caprilli.
Prima dell’unità d’Italia (1861), il piccolo Regno di Sardegna, capitale Torino, aveva una Scuola Militare di Equitazione a Venaria Reale, a una decina di chilometri dal centro di Torino, fondata nel 1823 dal re Carlo Felice, con un quadro permanente costituito da quattordici uomini, con dodici allievi e trentasei cavalli.  Una piccola scuola rispondente alle esigenze del piccolo esercito.
Nel 1949 la scuola viene trasferita a Pinerolo con il nome di Scuola Militare di Cavalleria sia per motivi di spazio, di terreni necessari per l’istruzione e l’addestramento, sia per motivi disciplinari, perché la vicinanza di Venaria con Torino, “costituiva, specialmente per la gioventù, un centro di attrazione pericolosa”. Pinerolo distava e dista da Torino una trentina di chilometri, e, a metà Ottocento, trenta chilometri non erano pochi e si percorrevano lentamente.
Il problema che si pone subito è trovare il cavallerizzo capo, quello che poi verrà chiamato il “direttore di equitazione”, colui che è il garante dell’ortodossia e della uniformità dell’insegnamento, un cavaliere competente e autorevole, capace di formare cavalieri e cavalli militari. Dal 1825 il primo cavallerizzo capo fu un germanico del Mecklemburgo, Otto Wagner.
Si tenga conto che mentre si costituisce e inizia a funzionare la Scuola, l’Italia combatte le guerre d’indipendenza per raggiungere l’unità istituzionale della penisola (divisa in otto Stati indipendenti), guerre iniziate nel marzo del 1848, quando il Piemonte dichiara guerra all’Austria che occupa il Lombardo-Veneto.
Le alterne vicende delle battaglie hanno influenza sull’organizzazione dell’esercito e soprattutto della cavalleria che ne era l’arma veloce e risolutiva. Le guerre si vincevano con la cavalleria. Caprilli viene istruito a Pinerolo secondo i procedimenti fissati dal regolamento allora in vigore, cioè secondo i precetti del lavoro di scuola, contenuti nel Regolamento per l’esercizio e le evoluzioni della cavalleria (4 tomi), Torino 1861, il primo regolamento che può definirsi nazionale, pubblicato nell’anno dell’unità d’Italia. A Pinerolo non è permesso montare a cavallo fuori dalle ore di servizio. Le ore di servizio non erano quelle di oggi, cioè quaranta settimanali. Erano dall’alba al tramonto. La sua classifica finale è “mediocre”.
1889 autunno A 21 anni, terminato il corso, con quella classifica assai poco esaltante, torna con i suoi due cavalli nel Reggimento Piemonte Reale a Saluzzo.
Al reggimento può lavorare per conto proprio. Il suo squadrone è distaccato ad Asti. Compra dal commerciante Enea Gallina (nella stessa scuderia dove diciassette anni dopo troverà la morte) per un prezzo allora modesto, 500 lire, il cavallo Sfacciato, un cavallo tanto sulla difesa da non voler uscire dal cortile della scuderia. Poco tempo dopo, durante
un’uscita in campagna con lo squadrone, salta un fosso “di soli due metri”, ignorando l’ordine del suo capitano. Il fatto desta una certa impressione. Allora l’equitazione “era contenuta nelle sue prove entro ben modesti limiti”. Scrive Giubbilei: “Data da quel tempo, dall’acquisto di Sfacciato e dall’ottimo risultato ottenuto lavorandolo, il convincimento
nell’animo di Federico Caprilli di poter contribuire, applicandosi instancabilmente a provare e riprovare, al progresso dell’equitazione”. (Si badi: “al progresso dell’equitazione”, non dello sport equestre e si ricordi specialmente l’età di Caprilli, ventuno anni). 1890 promosso tenente a 22 anni.
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aprile Segue un corso di tiro e lavori di zappatore alla Scuola centrale di Parma. Ha con sé i suoi tre cavalli. Nelle ore di libertà (che, si ricordi, erano quelle dell’alba e dopo la cena) montava i suoi tre cavalli “esercitandoli sugli ostacoli”. Con Sfacciato saltava “le sciabole tese orizzontalmente con il braccio [dai colleghi] per formare una barriera” e “gli enormi sieponi che circondavano il giardino della Scuola di tiro”. ottobre Ha 22 anni. Torna prima allo squadrone distaccato ad Asti, piccola città vicino a Torino, poi con lo squadrone a Saluzzo, altra piccola città nelle vicinanze di Torino, sede del Reggimento Piemonte Reale. 1891 frequenta il Corso magistrale di un anno a Pinerolo, alla Scuola di Cavalleria (corso per diventare istruttore di equitazione e per acquisire il titolo). I suoi rapporti con il maestro Cesare Paderni sono quelli di un fedele e convinto allievo. E’ classificato secondo su dieci ufficiali idonei. Esprime il rammarico di non esser stato primo.
28 febbraio a 23 anni, Caprilli rientra al Reggimento Piemonte Reale che, nel frattempo, è stato trasferito a Torino.
“L’esercizio del salto lo conduceva ogni giorno a farsi ammirare dai compagni, superando sopra l’intrepido Sfacciato o con altri cavalli le dure ed alte barriere [fisse, N.d.R.], che cingono i maneggi scoperti nei cortili della caserma di cavalleria”. Monta fino a quattordici cavalli al giorno.
24 ottobre Ha 23 anni. Inizia i tre mesi di corso di perfezionamento in equitazione di campagna a Tor di Quinto (Roma) sotto la guida del capitano di Roccagiovine. Durante il corso “cominciò ad avere convinti ammiratori, che ne conobbero ed apprezzarono le preziose ed eccezionali qualità”. Importante considerazione di del suo biografo: “Talvolta i buonissimi cavalli della Scuola e i suoi sembravano disgustarsi dopo numerosi salti ed egli si chiedeva nell’attenta osservazione ragionando, se oltre alla fatica non ci potesse essere qualche altra causa che faceva scartare o piantare anche i destrieri migliori. Se una ragione esisteva, all’infuori della stanchezza, bisognava eliminarla e perciò l’equitazione dovea modificarsi”. Ecco l’intuizione: doveva modificarsi, non perfezionarsi. Mentre, fino ad allora, tutti i grandi maestri del passato non avevano fatto altro che perfezionare, raffinare, inventare nuovi procedimenti più efficaci, nuovi movimenti di ginnastica, nuovi sistemi per abbreviare l’istruzione del cavaliere e l’addestramento del cavallo, sempre rigorosamente nel solco dell’insegnamento dell’equitazione di scuola.
L’intuizione di Caprilli marca per la prima volta una frattura nel corso dello sviluppo dell’equitazione.
A Torino partecipa alle cacce, ai primi concorsi ippici (oggi chiamati concorsi di salto ostacoli) con i suoi cavalli e con i cavalli che i colleghi gli chiedevano di montare. La sua straordinaria fibra gli concede di sobbarcarsi a un lavoro straordinario e di montare i cavalli “i più diversi l’un dopo l’altro e da questa fatica trarre il sommo vantaggio di migliorare
sempre più la sua abilità”. “Egli andava allargando le sue cognizioni al riguardo e accumulava un materiale grezzo di esperienze, dal quale avrebbe poi sbozzato e tornito un sistema nuovo”. Si esercita anche alla scuola di tiro e diventa un ottimo driver. “Le prove di Caprilli in questo periodo cominciavano a indirizzarlo verso la concezione del bisogno di quel metodo di equitazione naturale”. “I concorsi ippici in quel tempo erano si può dire in fasce in Italia. Consistevano in prove di salti in elevazione e in estensione, fatte entro spazi limitati, ove le andature non avevano modo di svilupparsi”. Caprilli, che per quindici anni fu il trionfatore indiscusso dei concorsi, fu anche artefice della loro trasformazione.
1892 3 maggio Caprilli ha 24 anni. Corre la prima corsa ostacoli in ippodromo. C. monta in corsa (circa) trentatré volte con ventiquattro cavalli di sua proprietà, vincendo diciotto corse e piazzandosi (tra i primi quattro) in undici. Fa correre i suoi cavalli (con altri cavalieri) ventinove volte, ottenendo nove vittorie e diciotto piazzamenti. 1894 ottobre Caprilli ha 26 anni. E’ comandato istruttore alla Scuola di Cavalleria nella sede di Tor di Quinto (Roma). 1895 marzo E’ assegnato alla Scuola di Cavalleria a Pinerolo come istruttore. 1896 gennaio Caprilli ha 27 anni. Per punizione, per una faccenda privata, viene trasferito nella sede più lontana da Pinerolo che allora esistesse, a Nola (Napoli), dove ha sede il Reggimento Lancieri di Milano. A Nola il Sistema viene messo a punto. “Caprilli aveva compreso, al pari di altri ufficiali, che il sistema di equitazione praticato sin da quando egli faceva parte dell’Arma di cavalleria era pieno di difficoltà nelle applicazioni pratiche e nel tempo istesso inadatto a dar buoni frutti, anche se ben insegnato ed appreso”. “Al reggimento Milano fiorì quello che oggi è abituale”. 1898 autunno C. ha 30 anni. Il “Sistema” è praticamente definito. “C. ebbe in quel tempo come allievo-caporale il volontario Bianchetti, giovane torinese studente in legge”. C. “lo trattenne sovente a sera, nelle ore del pasto frugale fatto in quartiere, a conversare di equitazione e di cavalli”. Pare che Bianchetti abbia aiutato Caprilli a redigere gli articoli scritti per la Rivista di Cavalleria. E’ una supposizione. Il biografo non fa alcun accenno al fatto, neppure tra le righe. 1900 Concorso Ippico Internazionale di Parigi. C., non autorizzato dal Ministero, va in incognito e lavora i cavalli che saranno montati in gara dal conte Trissino, un ufficiale di cavalleria che si trovava in congedo a Parigi.
1901 gennaio-febbraio (C. ha 32 anni), la Rivista di Cavalleria pubblica nei numeri 1 e 2 il primo scritto di C., Per l’equitazione di campagna. E’ una specie di manifesto nel quale il geniale innovatore condensa le sue idee rivoluzionarie in tema di equitazione militare, di insegnamento, di addestramento, di impiego del cavallo verso e sul salto. Nella storia
dell’equitazione non è mai stato pubblicato alcunché di così innovativo rispetto alla pratica corrente. Tutto è nuovo, mai detto prima con tanta chiarezza e con tanta determinazione.
Da questo articolo deriva la bozza del nuovo Regolamento di esercizi per la cavalleria, pubblicata nel 1901, redatta non da Caprilli in persona, ma da anonimi ufficiali dell’Ispettorato generale di cavalleria del Ministero della Guerra.
Se pensiamo che Caprilli:
– inizia a montare regolarmente a diciotto anni, nel 1886, quando entra in Accademia, inquadrato in un sistema scolastico rigido, protetto da un regolamento di disciplina che non lasciava libertà all’iniziativa del singolo, in una istituzione che per natura è conservatrice e gelosa delle proprie tradizioni e di quelle che sono le proprie regole, in cui è permesso fare solo ciò che il regolamento prescrive;
– ha i primi pensieri critici sul modo di insegnare l’equitazione in cavalleria a partire dal 1889, ventunenne;
– non ha altri insegnanti nell’aiutarlo a pensare un nuovo modo di intendere l’equitazione se non se stesso;
– opera in un ambiente in cui non v’è alcunché di positivamente stimolante se non il modo contrario alle sue idee di  andare di cavalli e cavalieri;
– ha, a parte una ridotta schiera di fedeli allievi e amici, più critici, non di rado sarcastici, che fautori, soprattutto nelle alte sfere della gerarchia militare;
– non può avvalersi per formarsi dal punto di vista teorico di una biblioteca contenente le opere più recenti che trattano della locomozione del cavallo (la parte che avrebbe costituito una base certa per le sue osservazioni e le conseguenti innovazioni);
possiamo concludere che la sua innovazione, compiuta nelle condizioni disagiate, in parte elencate sopra, avviene in un periodo di dodici anni, dodici anni di duro e assiduo lavoro, inizialmente concluso dalla stesura dell’articolo Per l’equitazione di campagna e dalla pubblicazione delle menzionate bozze del nuovo regolamento.
aprile Sulla Rivista di Cavalleria è pubblicato il secondo scritto di C., intitolato Due altre parole sull’equitazione di campagna, con il quale C. risponde agli appunti del capitano Varini espressi in un precedente articolo, apparso sempre sulla Rivista, e fa “una sobria confutazione delle critiche”.
Vengono pubblicate le bozze del tomo I del nuovo Regolamento di esercizi per la cavalleria, che tiene parzialmente conto delle innovazioni introdotte da Caprilli con lo scritto Per l’equitazione di campagna.
secondo semestre C. viene promosso capitano in Genova cavalleria a 32 anni. 1902 febbraio La Rivista di Cavalleria pubblica il terzo articolo di C., Sul nuovo Regolamento d’equitazione, scritto nel dicembre dell’anno precedente.
marzo Caprilli non ha ancora 33 anni, scrive il quarto articolo per la Rivista di Cavalleria intitolato Una replica, nel quale spicca una frase eloquente: “Onorare ciò che hanno fatto gli altri è nobilissimo sentimento, ma è altrettanto doveroso far qualcosa anche noi e farlo per un utile fine”.
inizio Ha il comando del 2° squadrone del Reggimento Genova Cavalleria, distaccato a Gallarate. Sperimenta e mette a punto i procedimenti di istruzione e di addestramento. A Gallarate ha luogo la preparazione al Concorso Ippico Internazionale di Torino. La preparazione è così descritta da un osservatore: “Si montava allora a cavallo alle cinque del mattino, e quando noi ufficiali andavamo una buona mezz’ora prima al buttasella”, cioè alle … quattro e mezza, “vedevamo il nostro capitano già in sella nella piazza d’armi che stava provando i cavalli sugli ostacoli.”.
giugno C. ha 34 anni, ha luogo il Concorso ippico internazionale di Torino. E’ la presentazione ufficiale del Sistema in pubblico. Al Concorso partecipano centoquattordici cavalieri di sei nazioni: “12 austriaci, 3 belgi, 12 francesi, 13 germanici, 12 russi e 62 italiani”. I cavalieri italiani non vincono che una gara, la gara di estensione con Caprilli e la stampa è molto critica nei loro confronti e nei confronti del nuovo modo di montare.
giugno-settembre “[…] tediato dai commenti della stampa sui risultati del Concorso ippico di Torino […] scrisse un lungo articolo per la Rivista di Cavalleria [intitolato Osservazioni sul Concorso Ippico Internazionale di Torino. N.d.R.].
Ma non sembrò allora troppo opportuna la pubblicazione dello scritto, perché il suo contenuto avrebbe sollevato risentimenti, che era meglio evitare, ed il lavoro non vide la luce. Ora, dopo otto anni, ne fo la postuma pubblicazione […]”. L’articolo è ricchissimo di osservazioni anche di carattere storico e fissa i periodi attraverso i quali è passata l’evoluzione della monta sull’ostacolo. 1904 17 marzo Caprilli ha 36 anni, viene trasferito alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo con le funzioni di istruttore. Vi giunge ai primi di aprile.
aprile Invito dell’ambasciatore francese in Italia per una visita di una commissione della Scuola di Cavalleria di Pinerolo alla Scuola di Cavalleria di Saumur (Francia). Una settimana prima della partenza Caprilli ha un incidente. A Pinerolo, in sella a Ghiaia, C. va a sbattere la spalla destra contro un tronco d’albero. Si lussa la spalla e si frattura la clavicola. Parte ugualmente. A Saumur monta un cavallo difficile con le redini tenute nella sola mano sinistra e dà un saggio della sua abilità sugli ostacoli. 1905 ottobre Inizia la direzione del primo corso di sette ufficiali esteri (3 Bulgari, 3 Argentini, 1 Svedese), cui si aggiungono cinque tenenti italiani, tra cui Giubbilei, il futuro biografo di Caprilli. Questo è il primo risultato delle innovazioni di Caprilli nell’istruzione del cavaliere e nell’addestramento del cavallo che incominciano a diffondersi in Europa e oltre oceano.
autunno Scrive un opuscolo senza titolo sulle finalità del concorso ippico, pubblicato postumo da Giubbilei, Il concorso ippico in genere dovrebbe mirare: 1. Ad invogliare e migliorare la produzione del cavallo italiano e la importazione di buoni cavalli esteri da servizio e da caccia. 2. A tenere viva la passione per il cavallo ed a mettere in onore la buona equitazione utile e pratica. Queste parole ricorrono spesso negli scritti di Caprilli. “La buona equitazione utile e pratica” è l’equitazione del Sistema, intesa come equitazione militare e sportiva. 1906 inverno Consegna a Giubbilei diversi foglietti di carta da lettera su cui ha annotato alcuni pensieri sulla equitazione naturale, decifrati (aveva una grafia infame), trascritti, numerati da 1 a 49, e pubblicati da Giubbilei nel 1909. 1907 Scrive l’articolo Campionato del cavallo militare, pubblicato sulla Rivista di Cavalleria nel luglio dello stesso anno.
estate “Ebbe l’oscuro presagio della non lontana sua fine … Già nel maggio di quell’anno, al ritorno da Tor di Quinto, un pomeriggio, montando poco dopo la colazione la sua cavalla Itala nella cavallerizza del quartiere principale della scuola, ebbe un principio di svenimento, che poco mancò non fosse causa di una caduta improvvisa”.
12 agosto Scrive il suo testamento.
giovedì 5 dicembre: incidente che provocherà la morte. Prova un cavallo presso il commerciante Gallina a Torino. Sono le cinque del pomeriggio. E’ quasi buio. Il terreno è coperto di neve. Esce dalla scuderia per andare nella Piazza d’Armi.
Dopo pochi metri lo vedono barcollare in sella, perde l’equilibrio, cade e sbatte violentemente la testa al suolo. Viene ricoverato privo di conoscenza nella casa di Gallina.
venerdì 6 dicembre tra le sette e le otto del mattino, ha “una scossa violenta, dopo la quale s’irrigidì, arrovesciando gli occhi. Era spento”. Caprilli aveva trentanove anni.
domenica 8 dicembre Il trasporto della salma viene fatto con un modesto carro funebre seguito, per volontà di Caprilli, soltanto dal fratello Vezio.

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La riforma del metodo d’insegnamento applicato alla recluta di cavalleria (cavaliere principiante) e del metodo d’addestramento del cavallo resa necessaria dalla contrazione del periodo di servizio militare obbligatorio e resa inoltre necessaria dall’evoluzione delle modalità di combattimento avvenuta sul campo di battaglia (uso delle armi da fuoco a tiro
rapido), ha prodotto una semplificazione sia del metodo di insegnamento, sia di quello di addestramento del cavallo.
Le esigenze diventano due.
Per il cavaliere:
equilibrio in sella sulle staffe più corte che in passato (“giusta staffatura”), abolizione del lavoro senza staffe (perché, senza staffe, il cavaliere è in equilibrio sulle natiche e non sulle staffe), per liberare da ogni ostacolo (mano sulla bocca e pressione delle natiche sulla paletta della sella e quindi sulle “reni” del cavallo) il bilanciere testa-collo e l’agente
propulsore, il motore, materializzato con una sola parola dalle “reni” (che è un termine inesatto dal punto di vista scientifico, ma che si è sempre usato. Sarebbe meglio dire “tratto dorso-lombare”).
Per il cavallo:
rispondenza agli aiuti delle gambe per farlo avanzare e delle redini per dirigerlo e regolare la velocità fino alla fermata.
Niente di più. Quindi rispondenza ad aiuti elementari che non richiedono alcuna modificazione dell’atteggiamento generale del corpo del cavallo, soprattutto dell’incollatura. Niente piego diretto, flessioni laterali, riunione, andature artificiali. In breve: tutto quello che si oppone alla distensione, l’unica attitudine che agevola le andature radenti e veloci.
Scrive Caprilli: “Quando si adoperano le mani per far girare e trattenere il cavallo, e le gambe per farlo avanzare e infondergli risolutezza e decisione, basta!”.
L’aver liberato i due agenti di forza del cavallo e posto in primo piano l’equilibrio del Cavaliere in sella, con il conseguente piegamento del busto in avanti e l’avanzamento delle braccia (la cosiddetta “ceduta”) per seguire la distensione dell’incollatura che avviene nel cavallo in libertà che salta, tanto più montato, perché ha anche un peso e un ingombro sulla schiena, rendono agevole il superamento degli ostacoli per qualsiasi cavaliere e anche per un modesto cavallo, ciò che dà un forte incremento alla pratica del salto.
Aver ridotto all’essenziale il ruolo del cavaliere, che deve limitarsi a dirigere le forze del cavallo, senza intervenire direttamente sulla loro natura e sulla loro entità, dà la massima autonomia all’istinto del cavallo e lo sollecita al massimo grado. Il cavaliere deve affidarsi all’istinto del cavallo, facendo il possibile per responsabilizzarlo.
Chi firma questo articolo è un cavaliere italiano, che ha iniziato a montare con maestri formati secondo il “Sistema naturale di equitazione” e che ha visto montare grandi cavalieri secondo quel Sistema. Può essere considerato partigiano.
Allora si affida al giudizio di uno storico francese, che certamente non si può accusare di partigianeria. E’ noto che i Francesi non hanno inviato loro cavalieri alla Scuola di cavalleria di Pinerolo, come hanno invece fatto quasi tutti gli eserciti europei e del continente americano. Tra il 1900 e il 1938, con cinque anni d’interruzione a causa della prima guerra mondiale, cento quarantuno cavalieri di trentatré nazioni estere (ventitré nazioni europee, otto nazioni americane, più la Persia e il Giappone) hanno frequentato i corsi presso la Scuola di cavalleria, sia a Pinerolo, sia a Tor di Quinto. Non il Portogallo, non il Belgio, non il Lussemburgo, non l’Irlanda. La Svezia ha inviato il maggior numero di
cavalieri, quindici. I Francesi, che hanno rivendicato, e rivendicano tuttora, la loro via all’equitazione sportiva, precedente o alternativa, certamente non dipendente, dichiarano, dall’evoluzione prodotta da Caprilli, hanno adottato ufficialmente la monta in avanti alla fine degli anni Venti. Il colonnello Danloux, allora scudiero capo del Cadre Noir (il corpo di istruttori militari di equitazione francesi), il direttore di equitazione, colui che è responsabile dell’ortodossia e della regolarità dell’insegnamento, tra il 1929 e 1933, servendosi di un buon cavaliere italiano, ufficiale di cavalleria, che in quegli anni era in congedo in Francia, Alessandro Alvisi (nato nel 1887, morto nel 1951), mise a punto quella che venne poi
chiamata la monta Danloux, che non era altro che il modo di montare degli italiani con un assetto leggermente modificato per quanto riguarda la posizione della gamba, la maggiore aderenza del polpaccio, e non del ginocchio, e per quanto riguarda il piede introdotto non completamente nella staffa, ma solo per il primo terzo.
Ebbene il giudizio dello storico francese, che si chiama André Monteilhet, è il seguente:
“Morto in piena azione a trentanove anni, avendo nondimeno visto il suo metodo adottato dall’esercito del suo paese, avendone presentito la diffusione all’estero, Federico Caprilli ha avuto il tempo di ricoprire nell’equitazione di campagna (ostacoli e terreno vario) un ruolo di rivoluzionario che ha eguagliato, per la sua ampiezza tecnica e che ha superato per le adozioni che ha avuto, il ruolo che La Guérinière poi Baucher avevano ricoperto un tempo nell’equitazione di maneggio. Il suo nuovo assetto ha letteralmente sconvolto la pratica del salto di ostacoli e l’accorto superamento delle peggiori asperità del terreno, così come la lezione della spalla in dentro nel XVIII secolo e quella delle flessioni della
mascella nel XIX secolo avevano migliorato la morbidezza (o la ginnastica) del cavallo.”
Qual è oggi l’eredità lasciata da Caprilli, oltre il seguire nella traiettoria del salto la distensione dell’incollatura del cavallo con il piegamento in avanti del busto e l’avanzamento delle mani?
In Italia, patria dell’inventore del Sistema Naturale di Equitazione, la Federazione Italiana Sport Equestri ha pubblicato in bozza nel 1997 un Testo-guida per la preparazione degli istruttori di equitazione. I quattro redattori hanno scritto nella prefazione che il testo è “la sintesi corale” dei libri elencati nella bibliografia. Nella bibliografia sono elencati cinquantuno testi, quarantuno di autori esteri, dieci di autori italiani. Tra i dieci autori italiani non c’è il nome di Federico Caprilli.

Col. Paolo Angioni

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