Nella comunicazione con il cavallo ci presentiamo come l’analogo di un capobranco naturale: individuo dotato di qualità complesse che il cavallo riconosce d’istinto dai segnali che colpiscono il suo apparato cognitivo.
Simbolizzeremo un’autorità che sia al contempo forte, rispettosa e benevola, per suscitare rispetto e fiducia e predisporlo così alla docile obbedienza.
La psiche del cavallo possiede un’innata immagine del capobranco, è un’acquisizione di specie che lo fa reagire all’individuo il cui comportamento comunica, alla sua maniera, autorevolezza, forza e determinazione, oltre che rispetto, possessività e affetto. Nel momento in cui, per astrazione, tra l’immagine da noi rappresentata e quella innata si produce l’incastro, il cavallo diventa gerarchicamente sottomesso e ci si affida, rispettoso e fiducioso, delegandoci la responsabilità del comando.
La tecnica che ci permette di ottenere ciò è presto descritta: esprimiamo autorevolezza imponendo al cavallo di percorrere la periferia del tondino, poi gli infondiamo fiducia attraendolo al suo centro dove lo educhiamo alla confidenza con noi e all’obbedienza alle nostre richieste.
Dal lato pratico, però, ci sono cavalli che non vogliono muoversi in circolo e cavalli che fuggono in preda al panico non appena accenniamo ad andar loro incontro, cavalli che minacciano di calciarci e cavalli che non ne vogliono sapere di staccarsi da noi, cavalli che non ci rispettano affatto e altri che ci temono fortemente, cavalli docili e altri ribelli, cavalli obbedienti e altri no, cavalli coraggiosi e cavalli paurosi.
Pur essendo la tecnica semplice nelle sue linee teoriche procedurali, sono le sue applicazioni pratiche, che si devono adattare alle reazioni individuali del cavallo, che la rendono complessa. Se il cavallo non vuole muoversi in circolo alla periferia del tondino, dobbiamo convincerlo esprimendo più autorevolezza, se invece fugge in preda al panico occorre calmarlo infondendogli fiducia, se minaccia di calciarci bisogna fargli capire che non deve difendersi da noi, se invece ci contatta rispettoso e fiducioso è necessario non deluderlo.
Ogni cavallo ha la sua personalità e come nell’uomo questa ha tratti di specie individuali, influenze genetiche ed ambientali. E’ attraverso la primaria conoscenza della personalità di specie dei cavalli, dei modi e dei limiti in cui si esprime nei comportamenti, che si potrà agire poi sulle differenze comportamentali individuali ed ancor più comprendere quali caratteri del comportamento sono frutto d’eredità genetica e quali acquisiti dall’ambiente di vita.
La procedura di addomesticamento, nelle sue linee generali, rimane simile: si fa girare il cavallo in circolo intorno a noi per chiedergli rispetto e lo si accosta rispettosi per suscitargli fiducia, saranno però le sue variazioni pratiche, dipendenti dalla specifica personalità del cavallo a permetterci di avere successo, in breve tempo, con tutti i cavalli. La filosofia e i principi su cui si basa la pratica del metodo di ammansimento dei cavalli non sono dettati dalla volontà manipolatoria con cui s’affronta da millenni il rapporto con i cavalli.
Non si tratta di condizionare per mezzo di stimoli sensoriali, reazioni motorie riflesse, bensì d’intervenire con un’appropriata comunicazione corporea sulla psiche del cavallo, dove sono riposte le funzioni innate che muovono i comportamenti: le motivazioni istintive, i modelli ideali della realtà e i sentimenti.
Il cavallo è un animale sociale che nella vicinanza con i propri simili trova appagamento e rassicurazione, quiete, protezione e benessere. Ma c’è una condizione affinché in natura sia ammesso in un gruppo della stessa specie: il rispetto dell’autorità che domina sugli altri e la sottomissione obbediente alle regole da essa dettate.
Il capobranco è l’autorità, il padre. Forte e determinato sia nella lotta per la sopravvivenza, quando si tratta di difendere il branco dall’assalto dei predatori, che in quella per la supremazia, se altri cavalli ne insidiano la posizione di dominio. Possessivo e protettivo nei confronti di giumente e puledri ma pronto a cacciare via quest’ultimi quando, giunti all’età della maturità sessuale, per via delle modifiche fisiche e caratteriali sopraggiunte, ne mettono in discussione il ruolo. L’immagine dello stallone forte e sicuro di sè e quella della giumenta tenera e protettiva appartengono alla psiche collettiva dei cavalli, veri e propri archetipi in senso junghiano e il territorio di pascolo è un luogo ancestrale, il loro eden. Qui da puledri crescono felici, protetti e amati, fino al giorno in cui giovani adulti verranno cacciati dallo stallone capobranco.
Il cavallo, come animale di branco è naturalmente portato a sottomettersi ad individui della propria specie che gli dimostrino chiaramente la loro dominanza. Ciò nonostante esistono differenze tra i sessi e da soggetto a soggetto. E’ importante a questo proposito considerare quanto sia più difficile ammansire un cavallo maschio, forte e autoritario, che incarna in sé quelle qualità comportamentali espresse in natura.
Nella memoria di un cavallo sono perciò fissate informazioni che gli permettono di riconoscere individui dotati di un complesso di qualità. Nella realtà ciò avviene attraverso il fondersi, in un inconfondibile insieme, delle impressioni prodotte dai segnali comportamentali con cui tali individui colpiscono i suoi organi sensoriali. Attraverso l’elaborazione centrale di percezioni ottiche, tattili e acustiche, prodotte da gesti sicuri, contatti amichevoli, toni pacati, egli si forma un giudizio su di noi che fissa in un nucleo percettivo d’immagini, contatti, suoni ed emozioni.
La doma naturale è propedeutica ad un corretto “utilizzo equestre” del cavallo, che deve sempre essere preceduto dalle sue tre fasi: la richiesta di rispetto, la richiesta di fiducia e la messa in confidenza. Ogni azione equestre che le preceda, dal lavoro alla corda alla conduzione alla mano, dalle pratiche di governo fino alla sellatura e monta, è rischiosa e spesso inefficace. La sua corretta applicazione è rispettosa dei principi etici che devono guidare le nostre azioni nei confronti degli animali posti ad un alto livello nella scala zoologica evolutiva.
Nella pratica di ammansimento di un cavallo dobbiamo mirare all’educazione dell’istinto di lotta e di fuga, dell’aggressività, della paura e della diffidenza.
L’aggressività di un cavallo si educa suscitando rispetto, quando ci avrà percepiti come autorità dominante avrà molte remore a lottare con noi. Per il cavallo, mammifero sociale, è istintiva la conoscenza dei comportamenti che in un rapporto gerarchico deve tenere il sottomesso verso il dominante.
Quando il cavallo in una contesa accetta la superiorità del contendente gli porge il fianco, in segno di soggezione, comunicandogli, attraverso il chiaro linguaggio simbolico della postura, che non vuole ne’ difendersi da lui ne’ sfidarlo. La paura e la diffidenza di un cavallo, invece, si educano suscitando fiducia e confidenza. Quando saremo riusciti a far capire al cavallo che da noi non deve temere nulla di male, smetterà anche di sfuggirci e possiamo quindi passare alla confidenza e all’amicizia.
Il cavallo giudica il livello gerarchico dell’uomo e la sua pericolosità dalla qualità dei segnali che emette: da come si muove, dalle posture e posizioni spaziali che assume, dai suoni che produce, da come lo contatta. I suoi organi di senso ricevono i segnali e li trasmettono alle strutture nervose che contengono le informazioni capaci di decodificarli e disinibire le risposte comportamentali. La reazione al percepito può essere istintiva e incondizionata, come quando allo stato naturale il cavallo fugge eccitato ai tipici segnali d’attacco di un animale predatore, o appresa per associazione e perciò condizionata, come quando allo stato domestico tenta di sottrarsi con la fuga, oltre che alla frusta e all’uomo che lo ha percosso dal luogo in cui è stato percosso.
Il cavallo si addomestica in un tondino, luogo dove scompare il tempo e lo spazio assume un valore simbolico, quello che conta al suo interno è la capacità di gestire l’intensità e la qualità dei segnali che gl’invieremo per dargli modo di coglierne l’esatta associazione con i nostri pensieri e sentimenti. Il cavallo sa che incontrare un individuo dominante in uno spazio limitato, dove la via di fuga è impedita da barriere invalicabili, lo espone al pericolo d’aggressione fisica, ma conosce anche il linguaggio con cui riconosce la superiorità gerarchica, capace d’inibire l’aggressività del contendente. Come mettere in fuga un cavallo è un segnale di dominanza, così fuggire indica sottomissione. L’occupazione del centro del territorio è un segnale di dominanza.
La fuga alla sua periferia provoca invece senso di pericolo, insicurezza, agitazione. Avere in mano una cordicella o una frusta lunga con la quale poterlo repentinamente toccare a distanza aumenta di molto la nostra autorevolezza. Sia il comportamento di fuga che quello impositivo-minaccioso fanno parte del linguaggio universale con cui in natura si stabiliscono le gerarchie sociali.
Mettiamo il cavallo in fuga lungo la periferia del tondino emettendo particolari segnali: sollevando repentinamente le braccia e/o srotolando verso il posteriore la longhina, e lo manteniamo in fuga incalzandolo da dietro, all’altezza dei glutei.
Il contatto pacificatore è uno sfioramento sulla guancia o sul collo (carezza), azione culminante di un avvicinamento, con movimenti lenti e pacati, secondo una traiettoria perpendicolare all’asse lungo del corpo, all’altezza della spalla. Lo sfioramento deve essere preceduto da una richiesta di olfattazione e immediatamente seguito dal nostro allontanamento. Gli comunichiamo così le nostre intenzioni pacifiche.
Se sapremo dosare l’intensità dei comportamenti impositivi e pacificatori, adattandoli alle reazioni provocate, quindi alla particolare personalità del cavallo con cui trattiamo, tutti i cavalli prenderanno a percorrere dietro di noi il territorio del tondino con un caratteristico atteggiamento, quello che assumono i subordinati quando seguono il capo negli spostamenti sui vasti territori naturali di pascolo.
Posizionandoci al centro del territorio e imponendo al cavallo di percorrerne la periferia stiamo rivendicando il dominio sul territorio e perciò la nostra condizione d’individui dominanti. Da questo momento o il cavallo accetta la nostra imposizione, e perciò prima o poi il patto di sottomissione, o prova a scontrarsi con noi. Per quanto riguarda l’eventuale reazione aggressiva del cavallo, dobbiamo tenere presente che egli, essendo un predato, un animale da fuga, è reattivo d’istinto a rapidi segnali di movimento e di contatto, sarà perciò molto facile, nel caso in cui la tentasse, respingerlo di nuovo in fuga alla periferia del tondino srotolandogli contro repentinamente la longhina con cui siamo entrati. Più frequentemente i cavalli reagiscono a deboli segnali impositivi e, a volte, addirittura spontaneamente, fuggendo spaventati al galoppo. In questo caso dobbiamo calmarli accovacciandoci al centro del territorio, non fissarli con lo sguardo ed emettendo ritmicamente un suono grave come hooooo, quasi sussurrandolo, fino a che non saranno passati dal galoppo concitato ad un’andatura più equilibrata.
A volte il cavallo a cui stiamo imponendo di percorrere la periferia del tondino assume, nel percorrerla, un’andatura al trotto rilevato portando la testa e la coda alta, come se volesse comunicarci: “ehi, modera le maniere, non sono un tipo che si spaventa facilmente!”. Altri cavalli per mettere alla prova la nostra determinazione rimangono fermi mostrando indifferenza e a volte, assumono un comportamento tipico, definito in etologia “comportamento di sostituzione” o “comportamento conflittuale”: abbassano la testa e si mettono tranquillamente a pascolare, fanno finta di brucare l’erba anche se nel tondino non c’è un filo d’erba.
E’ importante che il cavallo memorizzi il centro del territorio come luogo di piacere e sicurezza e che associ questi sentimenti alla nostra presenza accanto a lui. L’associazione tra l’immagine del luogo, la nostra figura e il particolare tono affettivo dei sentimenti provati, predisporrà il cavallo a starci accanto quando successivamente lo educheremo alla confidenza con noi. Una volta portatolo al centro del tondino lo dobbiamo accarezzare sul corpo con l’intento di evocargli le stesse sensazioni di rassicurazione che tutti i cavalli provano alla nascita quando vengono lambiti dalla lingua della mamma.
Oggi il rispetto dei cavalli è diventato conoscenza etologica e certezza di un origine comune tra le nostre specie (Darwin, Lorenz). E’ grazie a un bagaglio comune di funzioni atte alla conoscenza, ereditate da un antico progenitore, che possiamo comunicare ad un cavallo la nostra benevola autorevolezza. Attraverso un linguaggio simbolico, primordiale, fatto di comportamenti impositivi e pacificatori, raggiungeremo in breve tempo l’obbiettivo di farci porgere il fianco senza resistenze ne’ difese.
L’acquisizione nel corso dell’evoluzione d’informazioni genetiche necessarie al progetto costruttivo di strutture funzionali al linguaggio verbale, ha fatto si che la nostra specie abbia trasferito nelle espressioni linguistiche ciò che nei sui antenati primitivi e animali era d’esclusiva pertinenza dei comportamenti: esprimere stati interiori, affetti e sentimenti, e comunicare intenzioni. “Porgere il fianco” e “piegare il capo” sono perifrasi che nel nostro linguaggio verbale, figurato, stanno ad indicare i sentimenti di soggezione e sottomissione. Un cavallo non può che manifestarli attraverso comportamenti, porgendo il fianco e piegando il capo. E’ la sua maniera d’esprimere il riconoscimento di superiorità gerarchica di un cospecifico. Se vogliamo addomesticare un cavallo dobbiamo conoscere il valore di comunicazione di determinati comportamenti, ci eviterà fraintendimenti e permetterà di provocare specifiche reazioni del cavallo come risposta ai nostri comportamenti. Il cavallo ci porgerà il fianco e piegherà il capo a comando solo quando avrà acquisito rispetto e sicurezza di non essere frainteso, perché nell’assumere queste posture egli offre le sue parti deboli, collo e fianchi, rimanendo indifeso. Egli, in caso di dubbio, preferisce l’allerta o la fuga, l’istinto di sopravvivenza glielo impone.
Raggiunti questi obiettivi comportamentali possiamo considerare il cavallo educato e perciò predisposto ad essere educato alle eventuali richieste equestri. La generica docilità e obbedienza che vogliamo ottenere da un cavallo come obiettivo dell’addomesticamento, corrispondente sul versante interiore al rispetto e alla fiducia, deve necessariamente oggettivarsi in comportamenti e pronte risposte a comandi.
E’ frequente vedere cavalli “domati” che appaiono agitati e confusi al contatto con l’uomo e con il mondo. La causa di ciò è un approccio sbagliato: li s’incolpa di resistere, di lottare e difendersi, mentre non fanno che esprimere la loro natura. Per avere cavalli psicologicamente sereni, anziché “vincerne” le titubanze, l’aggressività, i rifiuti, le paure, dobbiamo rispettarne la personalità e comprenderne il linguaggio comportamentale, dopodiché prestargli attenzione, educarli, “convincerli”. Solo riservandogli un’attenzione consapevole ed esclusiva non si sentiranno macchine al nostro servizio o, peggio ancora, prede nelle fauci di un predatore.
Nel cavallo, come in altri animali sociali, compreso l’uomo, l’adattamento psicologico alle particolari esigenze di un determinato ambiente di vita, si compie pienamente quando sono tali da consentirgli di manifestare sentimenti e comportamenti istintivi sociali. L’assunzione forzata di comportamenti “contro natura” è la causa del disadattamento. Cavalli costretti a passare la vita nell’angusta solitudine di un box o a interagire con proprietari la cui unica maniera di comunicare è attraverso azioni violente, possono sviluppare tic (comportamenti stereotipati) e fobie (cavallo sull’occhio) che evidenziano i disagi interiori provocati dall’impossibilità di manifestare la propria natura. In molti di loro, a causa di ciò, subentra uno stato di profonda apatia e inazione, in altri, invece, l’eccitazione e il continuo movimento fanno da spia al disagio psicologico.
Solo rispettando le disposizioni naturali dei cavalli possiamo in breve tempo porre le basi di un rapporto naturale, altrimenti ogni tentativo di orientarne la volontà sarà destinato a suscitare reazioni di lotta e di fuga. Se il cavallo non ci raffigurerà come superiori gerarchici, se non avrà fiducia e confidenza con noi, se in altre parole non ci si affiderà, possiamo stare sicuri che non si predisporrà psicologicamente all’obbedienza e mostrerà continui rifiuti, resistenze, difese. I principi e la pratica della doma naturale dovrebbero essere conosciuti da tutti coloro che desiderano accostarsi con rispetto a questi intelligenti e sensibili animali. L’obbiettivo di questo particolare metodo di addomesticamento è rendere il cavallo sereno, fiducioso, rispettoso e obbediente, atteggiamenti mentali e qualità dei sentimenti che devono risultarci evidenti dai suoi comportamenti.